Via Paolo Sarpi Milano - Mantovani Emanuele Artista

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Una piccola o grande storia nel passato di Milano e del quartiere di via Paolo Sarpi
(di Emanuele Manu Mantovani)

Una di quelle storie che fanno parte delle radici del nostro quartiere e, se guardiamo bene, delle radici di tante città del nord Italia nel dopo guerra. Protagonista Filippo, non metto il cognome per evidenti motivi, un uomo come tanti partito dalla Sicilia negli anni '50 per cercare fortuna e lavoro nel lombardo nord. Fiero delle proprie origini tanto che, quando parlava della sua Bronte, gli luccicavano gli occhi. Filippo era, spero anzi che ancora sia, persona umile ma di grande dignità, un manovale con la giacca, come mi piace definirlo. Io ero un bambino quando l’ho conosciuto, e giocavo con le figlie e gli altri bambini nel cortile di via Giusti 20, proprio davanti alla scuola, erano gli anni 60. Filippo con la famiglia abitava al quarto piano, io con i miei genitori al secondo e ricordo l’ammirazione di Filippo nei confronti di mio padre, che lui sapeva essere arrivato a Milano al suo pari in cerca di lavoro ma, il fatto che lavorasse in ospedale era, a suo modo di vedere, motivo di grande rispetto, se pure mio padre non fosse un medico. Un particolare che ricordo di Filippo era la sua abitudine di andare e tornare dal lavoro, in bicicletta, con un secchio da muratore attaccato al manubrio. Bicicletta parcheggiata in cortile, di fianco al Velo Solex di mio padre …

Poi gli anni passano, la mia famiglia cambia indirizzo e, se pure non lontano, si perdono i contatti che vanno via via scemando fino a perdersi.


Arriviamo alla seconda metà degli anni 90, mia moglie ha in quel periodo un negozio di fotocopie in via Fioravanti al 36, negozio nel quale un pomeriggio entra proprio lui, Filippo. Subito non mi riconosce, l’ultima volta ero un bambino delle elementari, ma io quel signore che prima di entrare appoggia la bici al muro con il secchio al manubrio… bhè, lo inquadro immediatamente.  Avevamo entrambi qualche anno in più, (25 !) ma sentita la sua voce per me è stato un salto all'indietro, grande Filippo era proprio lui. Le sue prime parole sono servite alla richiesta di informazioni sui miei genitori, saputo poi della scomparsa di mio padre anche lui, quasi per non sentirsi da meno, mi comunicò che la figlia più grande, Franca, era mancata da qualche anno e a me tornò alla mente quella bambina, con i capelli ricci e neri, timidissima, che giocava con me in cortile al 20 di via Giusti. Mi dice poi che lui e la moglie abitano ora in zona Accursio, ma quasi ogni giorno torna in bicicletta nella nostra zona per curare il suo orto. Finita la parola orto si gira di scatto e, senza dire una parola, esce, stacca il secchio dal manubrio e lo porta dentro. “Le mangiate ?, sono le mie ”  tirando fuori una manciata di nespole. “Grazie Filippo ma come … le tue ?  -“ Si, ho le piante nell'orto, ho anche albicocche, pomodori, peperoni, patate …” – “ ma scusa, hai l’orto qui in zona ? “ Non riuscivo proprio a capire, un orto in zona, nel quartiere di via Paolo Sarpi, non avevo idea di dove collocarlo, immaginarlo …

“ Si “ risponde Filippo dribblando l’indirizzo dell’orto, “ li porto anche a qualche fruttivendolo qui in giro, ma mi danno poco e niente, ma è sempre qualcosa “ Insomma in tempi  ancora non sospetti, Filippo era stato un coltivatore urbano e un precursore del kilometro zero, dalla raccolta al banco vendita…già, ma la raccolta dove ??

Le sue visite in negozio si fecero da allora più frequenti, ad ogni stagione corrispondeva frutta e verdura appena colta, pochi pomodori però, perché questo suo famigerato orto veniva regolarmente alleggerito, guarda caso, qualche giorno prima del raccolto, ma lui non sembrava prendersela più di tanto, in fondo il suo più grande piacere stava proprio nella soddisfazione di lavorare la terra, una terra così lontana dalla sua…

Poi arrivò un giorno in negozio con un foglio di carta stropicciato e logoro, ne chiedeva una fotocopia perché doveva andare in Comune. Ci spiegava che andava ormai da quasi 30 anni per parlare con un funzionario comunale e ricevere garanzie che, sul terreno occupato dal suo orto, non vi fossero in previsione progetti.  Alle rassicurazioni del funzionario corrispondeva, in pratica, la sua semina per l’anno a venire. Mi sono sempre domandato a quale figura comunale lui si rivolgesse ma, sta di fatto, che le rassicurazioni per 30 anni avevano retto. Poi, pensandoci bene, così facendo il Comune, proprietario, era a conoscenza di questa sua trentennale occupazione, ci sarebbero stati quindi gli estremi  per una richiesta di uso capione. Un piccolo pezzo di Milano, teoricamente, sarebbe passato di mano, un’area che allora era solo un orto ben curato, circondato dai rovi di un terreno incolto, ma ora …

Caro Filippo ora, a distanza di anni, ti devo dire che il progetto su quell'area  c’è, ed è un progetto ambizioso e importante, parla di grandi costruzioni  destinate a terziario, residenze, negozi, parcheggi, tempo libero … Tutto questo proprio nella terra di quella che era stata la tua piccola Bronte, una terra che io e te sappiamo essere ancora moralmente tua, alla faccia di chi per tanti anni l'aveva dimenticata, che tu invece chiudevi gelosamente, alla sera, con un lucchetto, con la speranza che i rovi facessero buona guardia, dietro ai muri dell’area di servizio, ormai smantellata, tra viale Montello e Porta Volta.

Ciao Filippo.

 
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